Opere dell’ingegno e Intelligenza Artificiale

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A.I. Artificial Intelligence I.A. Intelligenza Artificiale

L’avanzamento scientifico e l’innovazione tecnologica, di cui mi occupo per l’aspetto legislativo, sono in continua accelerazione come lo stesso Universo e comportano una rivoluzione nell’organizzazione delle società e nelle condizioni di vita di noi abitanti il pianeta Terra. 

Si sente spesso usare l’espressione “quarta rivoluzione industriale” a indicare l’attuale scenario economico per i nuovi modelli di organizzazione produttiva fondati su automazione, Intelligenza Artificiale, interconnettività e condivisione. Mi sono occupato di singoli aspetti in precedenti articoli riguardanti l’Internet of Everything, la Blockchain, il Cloud Computing, lo Smart Working.

Vorrei tornare a occuparmi dell’Intelligenza Artificiale sotto lo specifico profilo del diritto d’autore, vale a dire della protezione giuridica delle opere d’arte create dall’Intelligenza Artificiale [1].

Come già sappiamo tali opere vengono realizzate tramite sofisticati software (di seguito SW) che possono portare a risultati espressivi ed estetici del tutto analoghi a quelli di un artista. L’uomo interviene solo nella fase realizzativa del SW tramite un addestramento dello stesso e l’inserimento di particolari algoritmi e dati. Per la realizzazione di un’opera pittorica, ad esempio, l’inserimento di immagini di opere d’arte del passato consente all’Intelligenza Artificiale (di seguito I.A.) di rielaborare le stesse in un sistema che riecheggia le reti neuronali del cervello umano.

E’ un dato ormai acquisito che sistemi di I.A. possono utilizzare combinazioni di parole, forme, suoni e colori raggiungendo risultati analoghi, sul piano della novità e originalità, a quelli propri degli artisti pittori, compositori o scrittori.

Premettiamo che l’opera protetta dal diritto d’autore viene intesa come l’espressione di un’idea nuova e originale. La Convenzione di Berna per le opere letterarie e artistiche ricorre a esemplificazioni per tipi di opere (di disegno, pittura, architettura, scultura, incisione e litografia) ma l’opera dell’ingegno protetta viene intesa come quell’opera dell’ingegno di carattere creativo che è il frutto di un lavoro intellettuale: impostazione che viene recepita, nella nostra legislazione dagli art. 1 e 6 l.d.a. e 2575 – 2576 cod. civ., dove si pone l’accento sulla “particolare espressione del lavoro intellettuale” (art. 6 cit.).

Con riferimento al requisito dell’originalità e alla valutazione valore artistico di un prodotto dell’I.A., il diritto seguirà la critica dell’arte e i contesti espressivi di un periodo storico, perché non è compito del legislatore affermare che la nozione estetica di “arte” presupponga un contributo umano.

Il diritto si adatterà (ex facto oritur jus) ai giudizi sulla natura artistica di un’opera della I.A. così come è già avvenuto nel divenire delle arti visive, che man mano si sono allontanate dalla figurazione realistica per esprimere l’astratto, e delle arti musicali, che si sono distaccate dal classico sistema tonale con la dodecafonia.

Ma il legislatore potrebbe anche prescindere dalla “artisticità” di un prodotto per la sua tutela, così come già avvenuto per le semplici fotografie, per il software, per le banche dati. Voglio dire che, se l’elemento idealistico è certamente presupposto dalle legislazioni che usano espressioni come “ingegno”, “spirito creativo”, “lavoro intellettuale”, la creatività artistica non è affatto indispensabile nella logica del diritto d’autore: il risultato originale, ottenuto mediante un algoritmo, non consegue necessariamente a uno spirito creativo né a un ingegno umano.

Il vero problema nasce con riferimento alla titolarità delle opere di I.A. e dei diritti morali e patrimoniali sulle stesse, problema che si accentua man mano che l’I.A. tenda all’autosufficienza nella creazione delle opere, prescindendo dall’intervento umano.

Certamente anche la creatività umana è il frutto di una stratificazione di dati acquisiti, perché ogni artista attinge, anche inconsciamente, alle grandi creazioni del passato: quindi nessun’opera dell’ingegno è del tutto autosufficiente e puramente originale. Ma l’artista umano ha libero arbitrio, sceglie a quale campo dell’arte dedicarsi e stabilisce lo scopo della propria opera. Mentre il sistema di I.A. segue sempre un procedimento algoritmico che gli dice dove, come e che cosa cercare.

Va da sé che l’intervento umano, pur non creativo, è alla base di ogni I.A. Solo prefigurandosi scenari già ipotizzati da film di fantascienza potrà esserci una I.A. creata da un’altra I.A. che abbia acquisito una totale autonomia e quindi coscienza di esistere.

Quindi un sistema di I.A. non decide da solo che cosa fare, ma viene sempre programmato per fare qualcosa. Così, anche i SW “deep learning” compiono processi di induzione per “imparare”, partendo sempre da informazioni immesse dall’uomo.

Come è stato detto al convegno AIDA dello scorso anno, le utilizzazioni di I.A. in campo artistico delineano una tendenza a spostare l’attività creativa dell’espressione finale di un’idea, che si manifesta in un’opera dell’ingegno, ad una fase antecedente che riguarda la creazione delle precondizioni che consentono al sistema di I.A., tramite determinati algoritmi, di produrre un risultato creativo.

Quindi l’apparente creatività di un’I.A. sarà sempre il risultato di una rielaborazione di dati di partenza alla base dell’algoritmo [2].

L’algoritmo può essere considerato come un progetto, un’anticipazione nella mente del programmatore di uno dei possibili risultati creativi raggiungibili dal sistema di I.A. Ma, se fondate sull’algoritmo, le opere create dalla macchina non saranno creazioni autonome ma sviluppi prevedibili o imprevedibili del SW.

Si potrebbe dire che il sistema di I.A. è esso stesso l’opera, attraverso la quale il programmatore (o anche l’utente nei casi di sistemi interattivi che fanno partecipe l’utente osservatore) genera altre opere. Sembrerebbe logico che i diritti di utilizzazione economica siano attribuiti a titolo originario al soggetto umano, anche se il risultato mancasse di originalità, così come avviene per le banche-dati [3].

Proprio tali creazioni o “opere derivate” pongono il problema della loro proteggibilità secondo il diritto d’autore. Premesso che il programmatore, o l’utente che ha contribuito al risultato creativo, sono gli effettivi titolari dei diritti in luogo della macchina (che manca di capacità giuridica), come si esercitano e in favore di chi tali diritti?

La soluzione più condivisa è quella di considerare una “creatività” dell’uomo anticipata nelle scelte che il programmatore compie nell’inserimento di dati e algoritmi nel robot. L’opera di I.A. sarà allora un’opera dell’ingegno riconducibile all’intelletto umano dell’autore-programmatore.

Avv. Giovanni Bonomo – ALP – Diritto 24

 

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[1] Richiamo in proposito il mio articolo sul convegno AIDA “Intelligenza artificiale e proprietà intellettuale”, organizzato dal prof. Luigi Carlo Ubertazzi presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia il 21. 9.2018.

[2] Ci si potrebbe domandare se sia l’algoritmo, allora, a poter ricevere una qualche tutela come opera dell’ingegno.  Il pensiero va alla tutela autorale del SW, recepito dalla nostra legge sul diritto d’autore, il cui modello di riferimento (la Direttiva 2009/24 relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore), esclude però “le idee e i princìpi alla base di qualsiasi elemento di un programma per elaboratore, compresi quelli alla base delle sue interfacce”; e pure il Considerando 11 ci dice che “le idee e i princìpi che sono alla base della logica, degli algoritmi e dei linguaggi di programmazione” non sono tutelabili.

[3] E. Badiali, La protezione giuridica delle opere d’arte create dall’Intelligenza Artificiale, inIUSitinere, 20.12.2018

Opere dell’ingegno e Intelligenza Artificiale,
articolo di Giovanni Bonomo

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