Concorso nel reato e mera connivenza: differenze.

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Concorso nel reato e semplice connivenza

Concorso nel reato e semplice connivenza

Si distingue il concorso nel reato, che richiede un contributo causale in termini, anche minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, dalla semplice connivenza, che non va oltre la conoscenza o anche la sola adesione psicologica e finanche l’assistenza inerte, atteggiamento psicologico che non realizza la fattispecie concorsuale. 

Si sente dire spesso, nelle notizie di cronaca nera o giudiziaria, che taluno è stato partecipe o concorrente in un reato, e talaltro invece scagionato perché, nonostante l’apparenza di concorso, è stato solo connivente.

Qual è allora la differenza tra concorso nel reato e mera connivenza?

Partiamo dal dato normativo, essendo previsto dal codice penale che, quando più persone concorrono nello stesso reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo reato stabilita [1].

Che cosa significa concorrere nel reato e qual è il contributo di azione e partecipazione che può far figurare il concorso? In proposito si è pronunciata più volte la Suprema Corte, che  ha fissato determinati criteri per delimitare l’ambito di punibilità per concorso nel reato e, conseguentemente, anche l’ambito della mera connivenza non punibile [2].

Secondo la Corte di legittimità il concorso nel reato richiede un contributo causale in termini, anche minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, mentre la semplice conoscenza o anche la sola adesione psicologica e finanche l’assistenza inerte, non realizzano la fattispecie concorsuale.

Ciò che rileva, quindi, è l’efficienza causale rispetto al fatto di reato: qualora un soggetto tenga una condotta atipica rispetto a quella prevista dalla fattispecie  reato e compiuta dall’autore ed esecutore del reato, concorre nel reato di costui solo nel caso in cui tale condotta si leghi a livello causale con la produzione del fatto tipico.

Resta peraltro la questione sull’intensità dell’efficienza causale: il comportamento atipico del concorrente deve essere una condizione necessaria rispetto all’accadimento dell’evento di reato oppure è sufficiente la semplice agevolazione o l’aumento del rischio di verificazione del fatto di reato?

Secondo la Suprema Corte basta il comportamento che avesse semplicemente agevolato o rafforzato il compimento del reato, senza che ne fosse quindi condizione necessaria. Tale comportamento agevolativo o di rinforzo può attenere sia alla vicenda materiale sia all’influenza morale: nel primo caso si fa l’esempio della fornitura di mezzi per commettere il reato o la creazione-ottimizzazione del contesto in cui il reato dovrà avvenire; nel secondo caso si distingue, nell’area dell’influenza morale, l’istigazione, che consiste nel rafforzamento di un altrui proposito criminoso già presente, dalla istillazione dell’intenzione delittuosa nell’altrui psiche [3].

Peraltro non è punibile chi invece abbia solo aumentato il rischio che il reato si realizzi, altrimenti si allargherebbe la figura del concorso di reato fino a ricomprendervi un inammissibile “tentativo di concorso”: non ha rilevanza penale, ad esempio, l’istigazione non accolta oppure anche accolta ma alla quale non consegua il compimento del reato [4].

 Si può dire, in conclusione, che il confine tra connivenza non punibile e contributo causale punibile risiede nel principio di materialità, che deriva da una lettura costituzionalmente orientata del codice penale [5].

In pratica non può ritenersi punibile, nel rispetto dei fondamenti costituzionali ai quali anche il codice penale deve adeguarsi, una condotta che non sfoci in un accadimento esteriore ed effettuale, per usare le stesse parole della Suprema Corte, rispetto alla previsione di reato, e che non sia quindi ragionevolmente rilevante.

Non sono quindi punibili, perché non partecipano materialmente alla commissione di un reato, tutti quei propositi criminosi che restano, appunto in quanto propositi, solo nella psiche di un soggetto, vale a dire in uno stato inespresso e senza manifestarsi nella realtà esteriore: ecco delimitata l’area della connivenza non punibile.

avv. Giovanni Bonomo – ALP

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[1] Art. 110 “Pena per coloro che concorrono nel reato” cod. pen.

[2] Da ultimo, Cass. Pen. sez. IV, sent. 11/06/2014 n. 24615.

[3] La Corte richiama, per dimostrare la correttezza dell’assunto secondo un’interpretazione sistematica, l’art. 114 sulle circostanze attenuanti: se tale norma prevede come concorrente nel reato anche chi abbia rivestito la “minima importanza” nella causazione dello stesso, significa che anche le condotte non necessarie all’accadimento possono essere rilevanti ai fini del concorso.

[4] Anche qui la Corte richiama, per dimostrare la fondatezza della propria argomentazione secondo un’interpretazione di sistema che tenga presente anche le altre norme del codice, l’art. 115 cod. pen. sull’istigazione, che esclude la rilevanza penale, oltre che dell’istigazione, anche dell’accordo al quale non consegua il compimento del reato.

[5] L’art. 27 Cost. sancisce il principio di offensività e quello di colpevolezza, giusta i quali la sanzione penale deve essere l’extrema ratio ed essere prevista da norme atte tutelare interessi giuridici primari della persona: ne consegue che sono punibili penalmente solo quelle condotte che sfocino in un accadimento esteriore, effettuale e ragionevolmente rilevante. L’esempio dei “reati bagatellari” viene spesso usato per spiegare il principio di offensività: il furto di una mela o di una pera da un melo o da un pero, se astrattamente e tecnicamente sono inquadrabili nella previsione dell’art. 624 sul furto, nel concreto non vengono ritenuti punibili.

Concorso nel reato e mera connivenza: differenze.
Articolo di Giovanni Bonomo

 

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